sabato 16 agosto 2014

La notte dei ciaràuli


Mercoledì  6 agosto scorso alle ore 19.30 presso la piazza IV Novembre (piazza d’erba) di Solarino ha avuto luogo la seconda edizione del Kerayles, la notte dei ciaràuli – sconfinamenti culturali.
Tra sacro e profano, un viaggio culturale e musicale che ruota intorno alla figura di San Paolo e dei suoi messaggeri. In un continuum culturale con la precedente edizione, datata 29 luglio 2010, la manifestazione fa perno sulla figura di questi guaritori discendenti/mandati dall’apostolo delle genti.
Nel corso della serata sono stati presentati quattro libri:
  • Sulle orme di Paolo di Giuseppe Mazzarella
  • San Paolo di Solarino di Paolo Liistro
  • Solarinesi nel passato di Paolo Calafiore
  • Sarò una nuvola di Paola Burgio
Ad aprire i lavori è stato Silvio Aparo della Melino Nerella Edizioni che ha presentato Angela Decaro dell’associazione “Syraform” e Maria Burgio per l’associazione “Euros” che hanno collaborato alla manifestazione.
È quindi intervenuto Sebastiano Mangiafico per presentare l’associazione culturale “Kerayles” che patrocinia la manifestazione, mentre la sorella Francesca fotografava l’evento (sue le foto a corredo del post).
La prof.ssa Maria Burgio ha letto spunti per ciascuno dei libri presenti mentre Silvio Aparo ne descriveva autore e contenuto, il tutto intervallato dalle melodie di due bravi musicisti, Franco pizzo e Davide di Rosolini.
Si è cominciato con il libro di poesie di Paola Burgio per poi proseguire con il saggio archeologico di Paolo Liistro e con l’analisi dei personaggi storici di Paolo Calafiore.
Ultimo il percorso simbolico-folkloristico di Giuseppe Mazzarella che ha interagito con le domande di Giuseppe Lissandrello, responsabile per la Kerayles edizioni (“costola” della Melino in tematiche culturali locali). Edito due anni prima in forma digitale, questo libro ha visto da appena un mese la forma cartacea.
Al termine degli interventi si è proseguito con lo spettacolo musicale del bravissimo duo Pizzo-Di Rosolini, mentre alcuni degli intervenuti gustavano un giro pizza.
La chiacchierata è quindi proseguita in forma personale presso il tavolo con i libri della Melino Nerella dove, ai tre ex chierichetti della parrocchia “San Paolo” (Aparo, Lissandrello e Mazzarella) se ne è aggiunto un quarto (Carmelo Bordonaro) a ricordare i tempi andati della gioventù…

La manifestazione è stata ripresa dalla Zeronove Webtv che l’ha riassunta ed arricchita con interviste di Simona Russo.

martedì 25 marzo 2014

L'annuncio del sacrificio

Sia la chiesa Cattolica che quella Ortodossa festeggiano oggi la visita dell’arcangelo Gabriele a Maria per annunciarle che concepirà Cristo (che nasce esattamente 9 mesi dopo, il 25 dicembre), la liturgia viene però rinviata se coincide con una domenica di Quaresima o altre solennità del tempo pasquale.
Tuttavia, come spesso accade, il 25 marzo era già festeggiato dalla tradizione pre-cristiana. Secondo il calendario giudaico la data celebra il sacrificio di Isacco, l’evento durante il quale un Ariete viene mandato da Dio per essere sacrificato al posto del giovane figlio di Abramo.
Nella tradizione filosofica e mitologica, troviamo il racconto di Frisso, Elle e il Vello d’oro che appartiene al segno dell’Ariete (ovvero il segno che, anticamente, iniziava proprio il giorno 25 marzo).
L’Ariete viene mandato da Zeus per salvare i due giovani innocenti che stavano per essere sacrificati,  il montone viene mandato da Jahvè per salvare l’innocente Isacco, Cristo, l’agnello di Dio, viene mandato dal Padre per salvare l’umanità e redimerla dai suoi peccati.
Ecco allora che la visita  dell’angelo Gabriele a Maria di Nazareth, per annunciarle l’Incarnazione del Verbo, rappresenta l’inizio della tradizione cristiana. Maria acconsente, dichiarandosi serva (ancilla) del Signore (Lc 1, 26-38); in quel momento, secondo l’opinione unanime dei teologi, «il Verbo si fece carne e abitò fra di noi» (Gv 1, 14).
Come ogni data relativa agli eventi della infanzia di Gesù, anche quella dell’Annunciazione è stata stabilita in riferimento al Natale, e quindi indicata solamente dalla tradizione della Chiesa, mancando al riguardo riferimenti precisi nei Vangeli. Quale momento del concepimento, l’Annunciazione è stata simbolicamente collocata nel giorno al 9º mese prima del Natale, anche con l’idea che l’Incarnazione, come la creazione del mondo, coincidesse con l’equinozio di primavera, e questo avvenne presto dopo l’istituzione della festa del Natale e la sua collocazione al 25 dicembre, che avvenne in Occidente intorno alla metà del IV secolo d.C.
La narrazione di Luca (1, 26-38) è l’unica delle fonti evangeliche a riferire l’episodio, ricchi invece di particolari sono i Vangeli apocrifi dell’infanzia, soprattutto il Protovangelo di Giacomo (200 ca.), lo Pseudo-Matteo (sec. VII-VIII e oltre) e la Natività di Maria (846-849) di Radberto Pascasio, abate di Corbie che trovarono in seguito un riscontro iconografico nelle raffigurazioni artistiche. Questa letteratura trovò nel Medioevo la massima diffusione, divenendo pertanto modello per le applicazioni figurative, anche attraverso compilazioni di carattere divulgativo quali lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais e la Legenda aurea di Jacopo da Varazze.
Relativamente alle scelte iconografiche elaborate dall’arte bizantina, il Vangelo armeno dell’infanzia narra che l’angelo si sarebbe presentato due volte a Maria: la prima, mentre ella si recava ad attingere acqua a una fonte, quando Gabriele senza rendersi visibile le rivolse la parola spaventandola; la seconda, quando, poco dopo, essendosi Maria chiusa in casa per filare e tessere un velo di porpora per il Tempio, l’arcangelo le apparve in sembianze umane annunciandole che avrebbe concepito e partorito un figlio per opera dello Spirito Santo. In quello stesso momento la Parola di Dio, entrata in Maria attraverso l’orecchio, operò il concepimento.

martedì 4 febbraio 2014

Le mammelle di Agata

Chi non conosce Sant’Agata?
Il suo nome in greco Agathé, significava buona. Vissuta tra il III e il IV secolo, durante il proconsolato di Quinziano, viene venerata come santa, vergine e martire dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa. Il suo nome compare nel Martirologio da tempi antichissimi, è patrona, tra l'altro, di Catania, di Palermo, di San Marino e di Malta. 
È anche la protettrice dei fonditori di campane (che venivano suonate quando si verificavano gravi avvenimenti, cioè nel momento in cui la santa veniva invocata), dei tessitori (secondo la leggenda, come Penelope, Agata avrebbe convinto un uomo insopportabile che voleva prenderla in matrimonio ad aspettare che venisse conclusa una tela che stava realizzando, che lei tesseva di giorno e scuciva di notte), dei vigili del fuoco (poiché in epoca medievale veniva invocata per la protezione dagli incendi a motivo del supplizio dei carboni ardenti) e delle donne colpite da malattie al seno (poiché subì l’amputazione delle mammelle).
Secondo la leggenda, Agata nacque in una famiglia siciliana ricca e nobile, nell'anno 235, indicata come di origine palermitana, ma da altre fonti catanese. È infatti una delle quattro sante protettrici della Città Felicissima (Palermo), la sua statua, assieme a quelle di Santa Cristina, Santa Ninfa, Sant’Oliva, troneggia dall’alto dei Quattro Canti di Palermo nell’ordine superiore delle facciate della piazza; proprio sopra le quattro fontane in marmo di Carrara a rappresentare le stagioni, i quattro re, in cima appunto, vi sono le quattro sante.
La tradizione cattolica vuole che Sant'Agata si consacrò a Dio all'età di 15 anni circa, ma studi storico-giuridici approfonditi rivelano un'età non inferiore ai 21 anni: età minima per cui una ragazza poteva essere consacrata diaconessa come effettivamente era Agata, documentata dalla tradizione orale catanese, dai documenti scritti narranti il suo martirio e dalle raffigurazioni iconografiche ravennate, con particolare riferimento alla tunica bianca e al pallio rosso. 
Nel periodo fra il 250 e il 251 il proconsole Quinziano, giunse alla sede di Catania anche con l'intento di far rispettare l'editto dell'imperatore Decio, che chiedeva a tutti i cristiani di abiurare pubblicamente la loro fede, invaghitosi della giovinetta e, saputo della consacrazione, le ordinò, senza successo, di ripudiare la sua fede e di adorare gli dei pagani.
Al rifiuto deciso di Agata, il proconsole la affidò per un mese alla custodia rieducativa della cortigiana Afrodisia, sacerdotessa di Venere o di Cerere e pertanto dedita alla prostituzione sacra. Il fine era la corruzione morale di Agata, attraverso una continua pressione psicologica. Rivelatosi inutile il tentativo, Quinziano diede avvio ad un processo e convocò Agata al palazzo pretorio.
Breve fu il passaggio dal processo al carcere e alle violenze con l'intento di piegare la giovinetta. Inizialmente venne fustigata e sottoposta al violento strappo delle mammelle, mediante delle tenaglie. La tradizione indica che nella notte venne visitata da San Pietro che la rassicurò e ne risanò le ferite. Infine venne sottoposta al supplizio dei carboni ardenti. La notte seguente all'ultima violenza, il 5 febbraio 251, Agata spirò nella sua cella.
Molte sono le raffigurazioni della santa che subisce il martirio delle mammelle, tra tutte ricordiamo i due dipinti di Giambattista Tiepolo, il primo del 1736 realizzato per la Basilica di Sant'Antonio a Padova mentre il secondo è realizzato nel 1750 e si trova oggi alla Gemäldegalerie di Berlino. Alcune raffigurazioni mostrano la Santa mentre viene guarita da San Pietro, come la Pala sull’altare della Santa presso il Duomo di Milano o il dipinto di Giovanni Lanfranco presso la Galleria Nazionale di Parma, oppure in carcere, mentre altre rappresentano ex-voto. Secondo le leggende più di quindici volte, dal 252 al 1886, Catania è stata salvata dalla distruzione da parte della lava, ed è poi stata preservata nel 535 dagli Ostrogoti, nel 1231 dall'ira di Federico Il, nel 1575 e nel 1743 dalla peste. Appena un anno dopo la sua morte, nel 262, Catania venne colpita da una grave eruzione dell'Etna. L'eruzione ebbe inizio il giorno 1 di febbraio e aveva già distrutto alcuni villaggi alla periferia di Catania. Il popolo andò in cattedrale e preso il velo di sant'Agata lo portò in processione nei pressi della colata. Questa, secondo la tradizione, si arrestò dopo breve tempo. Era il giorno 5 di febbraio, la data del martirio della vergine catanese. Il velo, reliquia conservata nella cattedrale di Catania, fu usato da una donna per coprire la Santa durante il martirio con i carboni ardenti, nei fatti faceva parte del vestimento con cui Agata si presentò al giudizio, essendo questo, indossato su una tunica bianca, l'abito delle diaconesse consacrate a Dio. Secondo un'altra leggenda il velo era bianco e diventò rosso al contatto col fuoco della brace.
Un altro miracolo lega la martire catanese a quella siracusana, che alcune tradizioni vogliono accomunare da una lontana parentela oppure da un più stretto rapporto di cuginanza, tuttavia dieci lustri separano i due martiri. L’unico dato attendibile è il prodigio riportato negli atti greci del martirio di Santa Lucia, conosciuti come codice papadopulo. 
La madre Eutichia è turbata dall’aggravarsi delle continue emorragie di cui soffre, per la quale i medici non nutrono speranze di sopravvivenza. Lucia la convince a recarsi in pellegrinaggio a Catania presso la tomba di S. Agata,  in occasione dell’anniversario del suo martirio per chiedere la grazia della guarigione. Giunte a Catania, durante la celebrazione della messa Lucia e la madre sono colpite dalle parole del brano del Vangelo che racconta dell’emorroissa che aveva ricevuto il dono della guarigione toccando il lembo della veste di Gesù. Dopo la messa, Lucia, mentre prega sul sepolcro, si  addormenta e in sogno le appare Sant’Agata tra schiere di angeli splendidissimamente ornata, che le dice: “Lucia, sorella mia e Vergine del Signore, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi concedere? La tua fede è stata di grande giovamento a tua madre, essa è già guarita. E come per me è ricolma di grazie la città di Catania, così per te sarà preservata la città di Siracusa.”
Ciò udito Lucia rinviene dal sonno e si accorge dell’avvenuto miracolo.
Insieme ad altre sante e santi, Agata appare in numerosissime tele e raffigurazioni vari spesso viene raffigurata nella stessa posa della conterranea Lucia con la palma del martirio su una mano mentre con l’altra regge un piatto o un vassoio su cui si trovano poste le mammelle recise, attributo principale della Martire che ne permette l’univoca individuazione. Come nel quadro di Bernardino Luini conservato nella Galleria Borghese a Rome.
Qualche volta in aggiunta qualche altra in sostituzione, appare l’attributo secondario ovvero lo strumento del martirio: le tenaglie. Se da sole, occorre controllare che esse non trattengano un dente nel qual casi si tratterà di Sant'Apollonia, martirizzata cavandole i denti e per questo divenuta patrona dei dentisti e di chi soffre il mal di denti.
Altri caratteri o attributi di Agata sono il braciere con i carboni ardenti o un fuoco da legna, una torcia e uno strumento in legno (forse per la tessitura) ai suoi piedi e il vulcano Etna in eruzione con la città di Catania sullo sfondo. A volte la torcia diventa un cero, simbolo della potenza del fuoco, vi può anche essere la presenza del libro come testimonianza del Vangelo, difficile invece la presenza di un corno di unicorno, come simbolo della verginità, molto più probabile presenza del giglio, mentre la palma può essere sostituita o accompagnata dalla corona si rose retta da angeli.
Alcuni di questi attributi sono riscontrabili nella tela del Martirio attribuita a Piero Quintavalle presente nella navata destra della Basilica di San Sebastiano a Palazzolo Acreide (SR), nella stessa appare anche l’anima della Santa tra le mani di un angelo pronto a portarla alla Trinità.
Il riconoscimento nelle raffigurazioni bizantine va invece effettuato tramite l’iscrizione del nome accanto alla testa, essendo la croce l’unico attributo presente in esse.
Il tributo di Catania alla propria martire non è rappresentato solo dalla Cattedrale, ma anche dalla fontana dell'Elefante, una opera monumentale realizzata tra il 1735 e il 1737 dall'architetto Giovanni Battista Vaccarini. Collocata al centro della Piazza del Duomo di Catania, il suo elemento principale è una statua di basalto nero che raffigura un elefante, chiamato comunemente u Liotru e considerato l'emblema della città siciliana.
La statua di epoca incerta, ricavata da un unico blocco di pietra lavica, ha la proboscide verso la cattedrale e una gualdrappa marmorea sulla quale sono incisi gli stemmi di sant'Agata, patrona di Catania. Sulla schiena dell'animale si trova un obelisco egittizzante, forse era una delle due mete dell'antico circo romano di Catania, l'altro, più frammentario, si trova invece nel cortile del Castello Ursino. Sulla parte sommitale dell'obelisco sono stati montati un globo, circondato da una corona di una foglia di palma (rappresentante il martirio) e di un ramo di gigli (rappresentante la purezza), più sopra una tavoletta metallica su cui vi è l'iscrizione dedicata a sant'Agata con l'acronimo latino “MSSHDPL” («Mente sana e sincera, per l'onore di Dio e per la liberazione della sua patria»), e infine una croce. Una tavoletta la stessa iscrizione (per intero stavolta) si trova nella mano sinistra del simulacro della Santa.
Il dolce tradizionale della festa catanese è la cassatella di Sant'Agata, in siciliano  minni o minnuzzi ri Sant'Àjita o ri Virgini. Deliziose cassatine dalla particolare forma semisferica che ricordano il seno di una donna, sono composte da un friabile guscio di pasta frolla, ripieno con ricotta di pecora, lavorata con zucchero e arricchita con canditi e cioccolato fondente. Una volta cotte, vengono ricoperte da una candida glassa bianca e decorate sulla sommità con una ciliegia candita che ricordi il capezzolo. Preparato in tutta la Sicilia, la sua origine è da rintracciarsi nell’antichità, quando veniva preparato come segno propiziatorio.
Sembra che la festa di Sant'Agata tragga origine in molte sue parti dai culti isidei, il dolce infatti riproporrebbe il seno della dea Iside nella sua veste di dea madre. Un altro parallelo sarebbe da rinvenire nei culti dei misteri eleusini, dove in occasione dei riti demetriaci si usava consumare dei panetti dolci il cui aspetto riproponeva il seno della dea Demetra, protettrice delle messi e a sua volta considerata anch'essa dea madre. Entrambi i due culti, isideo e demetriaco, sono documentati a Catania sia da fonti scritte che dai rinvenimenti archeologici, questi culti hanno influenzato, dove piuttosto non sono stati assorbiti del tutto, le festività religiose agatine, così il panetto dolce rappresentante la fertilità della madre terra assume il valore simbolico dell'atto del martirio subito dalla santa catanese alla quale fu amputata una mammella.
Altro dolce, preparato prima e durante la festa della santa patrona, sono le olivette di Sant'Agata, in siciliano alivetti o aliveddi ri Sant'Àjita, dolci a forma di oliva fatti di pasta di mandorla ricoperti di zucchero e colorati di verde. Ne esiste anche una variante ricoperta di cioccolato. Si ricollegano ad un episodio narrato nella agiografia. Mentre era ricercata dai soldati di Quinziano, nel chinarsi per allacciare un calzare, Agata vide sorgere davanti a se una pianta di olivo selvatico che la nascose alla vista delle guardie e le diede i frutti per sfamarsi.