lunedì 11 novembre 2013

Martino e il suo mantello

Tutti abbiamo ascoltato da bambini la leggenda dell’estate di San Martino, risulta perciò piuttosto facile riconoscerlo quando viene rappresentato nel celebre episodio. Diventa invece piuttosto difficile quando è raffigurato nelle vesti di vescovo di Tours, ma procediamo con ordine.
Martino nacque nel 316 o 317 in Sabaria, un avamposto dell’Impero Romano alle frontiere con la Pannonia, l’odierna pianura ungherese. Il padre, tribuno della legione, gli diede il nome di Martino in onore di Marte, il dio della guerra. Ancora bambino, Martino si trasferì coi genitori a Pavia, dove suo padre era stato destinato, ed in quella città trascorse l’infanzia. A quindici anni, in quanto figlio di un militare, dovette entrare nell’esercito. Come figlio di veterano fu subito promosso al grado di circitor e venne inviato in Gallia, presso la città di Amiens.
Il compito del circitor era la ronda di notte e l’ispezione dei posti di guardia, nonché la sorveglianza notturna delle guarnigioni. Durante una di queste ronde avvenne l’episodio che gli cambiò la vita (ancora oggi quello più ricordato e più usato dall’iconografia).
Martino, trovandosi alle porte della città di Amiens, vide un mendicante seminudo, vedendolo sofferente, tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante. La notte seguente vide in sogno Gesù rivestito della metà del suo mantello militare. Udì Gesù dire ai suoi angeli: «Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito». Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro. Il mantello miracoloso venne conservato come reliquia ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi dei Franchi. Il termine latino per “mantello corto”, cappella, venne esteso alle persone incaricate di conservare il mantello di San Martino, i cappellani, e da questi venne applicato all’oratorio reale, che non era una chiesa, chiamato cappella.
Su questo episodio si innesta la leggenda dell’estate, Martino incontra più avanti un altro mendicante e decide di regalargli anche l’altra metà di mantello rimanendo così esposto alle intemperie. A tale generoso gesto prodigiosamente il freddo e la neve per quel giorno si attenuarono e al loro posto fece capolino il sole che si fece così intenso da assomigliare al tepore estivo: fu quella la prima “estate di San Martino”. Da allora riserva in Sicilia sempre una piccola parentesi di bel tempo, prima dell’inizio di temperature poco più rigide.
Tornando alla storia, il sogno ebbe un tale impatto su Martino, che egli, già catecumeno, venne battezzato la Pasqua seguente e divenne cristiano. Rimase ufficiale dell’esercito per una ventina d’anni raggiungendo il grado di ufficiale nelle alae scolares (un corpo scelto). Giunto all’età di circa quarant’anni, decise di lasciare l’esercito. Iniziò la seconda parte della sua vita impegnandosi nella lotta contro l’eresia ariana, condannata al Concilio di Nicea (325), e venne per questo anche frustato (nella nativa Pannonia) e cacciato, prima dalla Francia e poi da Milano, dove erano stati eletti vescovi ariani. Si recò quindi nell’Isola Gallinara ad Albenga in provincia di Savona, dove condusse quattro anni di vita eremitica. Tornato a Poitiers, al rientro del vescovo cattolico, divenne monaco e venne presto seguito da nuovi compagni, fondando uno dei primi monasteri d’occidente, a Ligugé, sotto la protezione del vescovo Ilario.
Nel 371 i cittadini di Tours lo vollero loro vescovo, anche se alcuni chierici avanzarono resistenze per il suo aspetto trasandato e le origini plebee. Come vescovo, Martino continuò ad abitare nella sua semplice casa di monaco e proseguì la sua missione di propagatore della fede, creando nel territorio nuove piccole comunità di monaci. La sua fama ebbe ampia diffusione nella comunità cristiana dove, oltre ad avere fama di taumaturgo, veniva visto come un uomo dotato di carità, giustizia e sobrietà.
Martino morì l’8 novembre 397 a Candes (poi Candes-Saint-Martin), dove si era recato per mettere pace tra il clero locale. Si disputano il corpo gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours, questi ultimi, di notte, lo portano poi nella loro città per via d’acqua, lungo i fiumi Vienne e Loire. La sua morte, avvenuta in fama di santità, anche grazie a numerosi miracoli, segnò l’inizio di un culto nel quale la generosità del cavaliere, la rinunzia ascetica e l’attività missionaria erano associate.
San Martino di Tours viene ricordato l’11 novembre, sebbene questa non sia la data della sua morte, ma quella della sua sepoltura. Questa data è diventata una festa straordinaria in tutto l’Occidente, grazie alla sua popolare fama di santità e al numero notevole di cristiani che portavano il nome di Martino.
Numerose le raffigurazioni, anche da parte di celeberrimi pittori, del celebre episodio del povero. In questa iconografia cavalleresca, Martino appare nelle vesti di un giovane soldato con l’armatura e il povero costituisce l’attributo principale, mentre la spada, il mantello rosso e il cavallo (il più delle volte rigorosamente bianco, mentre altre anche grigio o marrone) ne rappresentano gli attributi secondari.
Non mancano tuttavia anche le rappresentazioni che lo vedono come un uomo barbuto, spesso pure canuto, in abiti vescovili dalla colorazione blu o talvolta rossa bardato di mitra (cappello vescovile) e pastorale (bastone con la punta arrotolata), tipici della carica ecclesiastica, che ne costituiscono gli attributi secondari insieme al libro simbolo della sua opera evangelizzatrice.
Proprio in queste vesti diventa attributo principale la presenza di un globo di fuoco, in richiamo alla sua lotta contro l’eresia ariana e il paganesimo rurale, oppure fa capolino alle sue spalle un’oca, in riferimento alla sua elezione a vescovo, oppure. Secondo la leggenda infatti, Martino era riluttante a diventare vescovo, motivo per cui si nascose in una stalla piena di oche; il rumore fatto da queste rivelò però il suo nascondiglio alla gente che lo stava cercando.
Un dipinto che lo raffigura in tali vesti presenta pure anche gli attributi del celebre episodio: un angelo alla sua sinistra custodisce la sua armatura reggendone l’elmo, mentre un altro alla sua destra gli porge mantello e spada.
Molte chiese in Europa sono dedicate a san Martino. Tra queste Lucca e Belluno hanno dedicato a San Martino la propria Cattedrale. L’11 novembre i bambini delle Fiandre e delle aree cattoliche della Germania e dell’Austria, nonché dell’Alto Adige, partecipano a una processione di lanterne, ricordando la fiaccolata in barca che accompagnò il corpo del santo a Tours. Spesso un uomo vestito come Martino cavalca in testa alla processione. I bambini cantano canzoni sul santo e sulle loro lanterne. Il cibo tradizionale di questo giorno è l’oca. In anni recenti la processione delle lanterne si è diffusa anche nelle aree protestanti della Germania, nonostante il fatto che la Chiesa protestante non riconosca il culto dei santi.
In Italia il culto del Santo è legato alla cosiddetta “estate di san Martino” la quale si manifesta, in senso meteorologico, all’inizio di novembre e dà luogo ad alcune tradizionali feste popolari. Nel comune abruzzese di Scanno, ad esempio, in onore di San Martino si accendono grandi fuochi detti “glorie di San Martino” e le contrade si sfidano a chi fa il fuoco più alto e durevole.
Nel veneziano l’11 novembre è usanza preparare il dolce di San Martino, un biscotto dolce di pasta frolla con la forma del Santo a cavallo con la spada, decorato con glassa di albume e zucchero ricoperta di confetti e caramelle; è usanza inoltre che i bambini della città lagunare intonino un canto d’augurio casa per casa e negozio per negozio, suonando padelle e strumenti di fortuna, in cambio di qualche monetina o qualche dolcetto. Nel Salento, in particolare, questa tradizione è molto sentita. Ci si riunisce tutti, familiari, amici e si cena tutti assieme con il Vino Novello, castagne, salsiccia, focacce, frutta secca e tutto quello che offre la campagna in questo periodo.
Nel nord Italia, specialmente nelle aree agricole, fino a non molti anni fa tutti i contratti (di lavoro ma anche di affitto, mezzadria, ecc.) avevano inizio (e fine) l’11 novembre, data scelta in quanto i lavori nei campi erano già terminati senza però che fosse già arrivato l’inverno. Per questo, scaduti i contratti, chi aveva una casa in uso la doveva lasciare libera proprio l’11 novembre e non era inusuale, in quei giorni, imbattersi in carri strapieni di ogni masserizia che si spostavano da un podere all’altro, facendo “San Martino”, nome popolare, proprio per questo motivo, del trasloco. Ancora oggi in molti dialetti e modi di dire del nord “fare San Martino” mantiene il significato di traslocare.
In molte regioni d’Italia l’11 novembre è simbolicamente associato alla maturazione del vino nuovo (da qui il proverbio “A San Martino ogni mosto diventa vino”) ed è un’occasione di ritrovo e festeggiamenti nei quali si brinda, appunto, stappando il vino appena maturato e accompagnato da castagne o caldarroste. Sebbene non sia praticata una celebrazione religiosa a tutti gli effetti (salvo nei paesi dove san Martino è protettore), la festa di San Martino risulta comunque particolarmente sentita dalla popolazione locale.
Anche in Sicilia il giorno del Santo entra in corrispondenza al periodo detto della svinatura. Per i palermitani quel giorno finisce l’inesauribile estate, che spesso si prolunga fino a primi giorni di novembre, e per l’occasione si gusta il vino novello che l’industria vinicola fa degustare aprendo le porte alle varie cantine disseminate nel triangolo vinicolo della provincia. Un altro proverbio recita che per san Martino, s’ammazza lu porcu e si sazza lu vinu, infatti, in alcune località siciliane si attendono questi giorni di Novembre per sopprimere il maiale e farne prosciutti, salami, zamponi e salsicce da spruzzare di vino novello appena spillato, durante la cottura.
Martino fu definito il patrono degli ubriaconi, che affollavano le varie “taverne” della città festeggiando solenni banchetti a base di verdure cotte: carduna, vruocculi e uova sode, accompagnati da abbondanti libagioni.
Chi aveva modeste possibilità, quel giorno si limitava ad accompagnare il suo modesto pasto con del vino “novello”. Per i più benestanti tutte le scuse erano buone per imbandire la tavola e quel giorno oltre a brindare con il vino novello, si mangiava abbondantemente e sulle ricche tavole era presente il tradizionale tacchino ruspante o, in alternativa, la carne di maiale la faceva da leone.
Per il San Martino dei poveri, nella tradizione palermitana, bisognava aspettare la prima domenica dopo l’undici novembre, il giorno dopo la riscossione della simanata (il salario settimanale), per concludere il frugale pasto domenicale con u viscottu i San Martino abbagnatu nn’o muscatu, (il biscotto di San Martino intriso nel moscato), vino liquoroso in genere offerto in dono dall’abituale fornitore di vino.
Confezionati con fior di farina impastata con il latte e fortemente lievitata e chiamati anche sammartinelli, hanno la forma di una pagnottella rotondeggiante della grossezza di un’arancia e l’aggiunta nell’impasto di semi d’anice (o finocchietto selvatico) conferisce loro un sapore e un profumo particolare. Cotti a fuoco lento, si presentano molto croccanti e friabilissimi ed in questa occasione vengono largamente consumati appunto abbagnati (inzuppati) nel vino liquoroso “moscato di Pantelleria” ricavato da uve inzolia o inzuppati nel vino appena spillato.
Oltre quello destinato ad essere inzuppato nel moscato, detto “tricotto” croccante e friabilissimo, esiste anche il “rasco”, più morbido e destinato ad essere riempito di crema di ricotta dolce oppure di conserva e decorato in modo quasi barocco, con glassa di zucchero a riccioli e ghirigori, sormontato da un cioccolattino e fiorellini di pasta reale.
Un’altra curiosa tradizione che ha luogo per San Martino è quella che si svolge a Palazzo Adriano, in provincia di Palermo. Una antica usanza d’origine balcanica vede i parenti di una coppia di sposi, farsi carico della costituzione della casa degli sposi novelli, insieme a tutto il cibo utile al rifornimento per l’anno in corso. Si prevede anche che durante le ore della mattina, alcuni bambini sfilino per le strade del paese, portando ceste piene dei tradizionali “pani di San Martino”.
Ai genitori dello sposo spetta in questa occasione regalare u quadaruni (la grossa pentola di rame) e a quelli della sposa a brascera (il braciere di rame) che serve a riscaldare la casa nei mesi invernali.
Nella piccola cittadina montana di Palazzolo Acreide, prima colonia della Siracusa greca, la tradizione suole accompagnare al vino delle ciambelline di patate fritte e zuccherate, mentre in altre zone del siracusano si preparano le zeppole che qui chiamano crispeddi.