martedì 25 dicembre 2012

La sacra rappresentazione della natività cristiana



Secondo un’antica tradizione, il presepe deve essere allestito per l’8 dicembre (festa dell’Immacolata) senza il bambinello che va collocato solo il 25 dicembre (Natale); il 6 gennaio dell’anno nuovo (festa dell’Epifania) si celebra la visita e l’adorazione di Gesù Bambino da parte dei Re Magi che vengono così inseriti nel presepio.
La tradizione vuole che resti esposto ancora per lungo tempo e sia disfatto il 2 febbraio (presentazione di Gesù al Tempio di Gerusalemme), popolarmente conosciuta come “Festa della Candelora” perché in questo giorno si benedicono le candele simbolo di Cristo “luce per illuminare le genti”, come il Bambino Gesù venne chiamato dal vecchio Simeone al momento della presentazione al Tempio. Anticamente nello smontare i presepi si dava in questo giorno per l’ultima volta un bacio al Bambinello Gesù: infatti, la festa della Candelora chiude il periodo delle celebrazioni natalizie ed apre il cammino verso la Pasqua.
Il termine presepe o più correttamente, come riportato nella maggior parte dei dizionari, presepio deriva dal latino praesaepe, propriamente “recinto chiuso, greppia, mangiatoia”: composto da prae = “innanzi”  e  saepes = “recinto”, ovvero luogo che ha davanti un recinto.
Sebbene sia da considerare presepio anche il dipinto o il bassorilievo con la Natività, l’adorazione dei pastori e quella dei Magi, nel significato comune si intende la rappresentazione plastica (a tre dimensioni) della nascita di Gesù che si fa tradizionalmente nelle chiese e nelle case a Natale, con figure ed elementi mobili collocati su uno sfondo che ha al centro la grotta di Betlemme. Il presepio, così come lo rappresentiamo oggi, è frutto di una progressiva evoluzione che si è realizzata nei secoli attraverso la confluenza di più fonti.
Verrebbe istintivamente da pensare che la creazione del presepio sia stata basata, in prevalenza, sulla descrizione dei Vangeli canonici. Ma, ad una lettura attenta degli stessi, si noterà come solo l’evangelista Luca ci fornisce una descrizione della nascita di Gesù: « Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. » (Luca 2, 7). Marco e Giovanni nulla raccontano sulla vicenda, mentre Matteo si sofferma poco sull’evento.
Incuriosisce poi scoprire, tra l’altro, che asino e bue non sono affatto menzionate nei Vangeli canonici: dunque dove trovano origine tutti gli elementi (personaggi, scenari, oggetti, animali e vegetazione) che caratterizzano il presepe?
Fin dalle origini del cristianesimo, vista la sintetica descrizione fatta dai libri canonici, si diffusero leggende intorno alla Natività che furono poi trascritte in vari testi. Tra questi, furono di particolare ispirazione i Vangeli cosiddetti Apocrifi; si citano al riguardo il Protovangelo di San Giacomo e lo Pseudo-Matteo. Questo avvenimento così familiare e umano se da un lato colpisce la fantasia dei paleocristiani rendendo loro meno oscuro il mistero di un Dio che si fa uomo, dall’altro li sollecita a rimarcare gli aspetti trascendenti quali la divinità dell’infante e la verginità di Maria. Così si spiegano le effigi parietali del III secolo nel cimitero di S. Agnese e nelle catacombe di Pietro e Marcellino e di Domitilla in Roma che ci mostrano una Natività e l’adorazione dei Magi.
A partire dal IV secolo la Natività diviene uno dei temi dominanti dell’arte religiosa e in questa produzione spiccano per valore artistico: la natività e l’adorazione dei magi del dittico a cinque parti in avorio e pietre preziose del V secolo che si ammira nel Duomo di Milano e i mosaici della Cappella Palatina a Palermo, del Battistero di S. Maria a Venezia e delle Basiliche di S. Maria Maggiore e S. Maria in Trastevere a Roma. In queste opere dove si fa evidente l’influsso orientale, l’ambiente descritto è la grotta, che in quei tempi si utilizzava per il ricovero degli animali, con gli angeli annuncianti mentre Maria e Giuseppe sono raffigurati in atteggiamento ieratico simili a divinità o, in antitesi, come soggetti secondari quasi estranei all’evento rappresentato. Dal secolo XIV la Natività è affidata all’estro figurativo degli artisti più famosi che si cimentano in affreschi, pitture, sculture, ceramiche, argenti, avori e vetrate che impreziosiscono le chiese e le dimore della nobiltà o di facoltosi committenti dell’intera Europa, valgano per tutti i nomi di Giotto, Filippo Lippi, Piero della Francesca, il Perugino, Dürer, Rembrandt, Poussin, Zurbaran, Murillo, Correggio, Rubens e tanti altri.
La tradizione, prevalentemente italiana, risale però all’epoca di San Francesco d’Assisi che nel 1223 realizzò a Greccio la prima rappresentazione vivente della Natività. Sebbene esistessero anche precedentemente immagini e rappresentazioni della nascita del Cristo, queste non erano altro che “sacre rappresentazioni” delle varie liturgie celebrate nel periodo medievale. L’idea era venuta al Santo d’Assisi nel Natale del 1222, quando a Betlemme ebbe modo di assistere alle funzioni per la nascita di Gesù; Francesco rimase talmente colpito che, tornato in Italia, chiese al Papa Onorio III di poter ripetere le celebrazioni per il Natale successivo. A quei tempi le rappresentazioni sacre non potevano tenersi in chiesa, il Papa gli permise di celebrare una messa all’aperto. Fu così che, la notte della Vigilia di Natale del 1223, a Greccio, in Umbria, San Francesco allestì il primo presepe vivente della storia. I contadini del paese accorsero nella grotta, i frati con le fiaccole illuminavano il paesaggio notturno e all’interno della grotta fu posta una greppia riempita di paglia con accanto il bue e l’asinello. Il ricordo di questo evento è stato tramandato dal francescano Tommaso da Celano (1190-1260 ca) e magistralmente dipinto da Giotto nell’affresco della Basilica Superiore di Assisi.
Fu poi l’ordine Francescano e successivamente i domenicani e i gesuiti che diedero, non solo in Italia, dall’Alto Adige alla Sicilia, ma in tutta l’Europa centrale impulso alla costruzione di presepi divenuti talora permanenti, sia a figure mobili, sia fissi, in pietra o in terracotta, spesso di gigantesche dimensioni, tipici dell’Italia centromeridionale. Il più antico presepio d’Italia almeno in parte conservato può considerarsi quello dell’oratorio del Presepio nella cripta sotto la Cappella Sistina in Santa Maria Maggiore a Roma, scolpito nel legno nel 1280 circa da Arnolfo di Cambio; sono superstiti i tre Magi, San Giuseppe, il bue, l’asino; rifatti la Madonna e il Bambino nel XVI sec. Da allora e fino alla metà del 1400 gli artisti modellano statue di legno o terracotta che sistemano davanti a un fondale pitturato riproducente un paesaggio che fa da sfondo alla scena della Natività; il presepe è esposto all’interno delle chiese nel periodo natalizio. Culla di tale attività artistica fu la Toscana, ma ben presto il presepe si diffuse nel regno di Napoli ad opera di Carlo III di Borbone e nel resto degli Stati italiani.
Nel 1517 San Gaetano da Thiene ebbe la visione della Vergine che gli offriva in braccio il Bambino, con accanto San Giuseppe e San Girolamo, mentre nel 1534, allestisce un presepe nella Chiesetta di Santa Maria della “Stalletta” a Napoli; viene considerato così come uno dei precursori del presepe a dimensione familiare.
Nel ‘600 e ‘700 gli artisti napoletani danno alla sacra rappresentazione un’impronta naturalistica inserendo la Natività nel paesaggio campano ricostruito in scorci di vita che vedono personaggi della nobiltà, della borghesia e del popolo rappresentati nelle loro occupazioni giornaliere o nei momenti di svago: nelle taverne a banchettare o impegnati in balli e serenate. Ulteriore novità è la trasformazione delle statue in manichini di legno con arti in fil di ferro, per dare l’impressione del movimento, abbigliati con indumenti propri dell’epoca e muniti degli strumenti di svago o di lavoro tipici dei mestieri esercitati e tutti riprodotti con esattezza anche nei minimi particolari. Questo per dare verosimiglianza alla scena delimitata da costruzioni riproducenti luoghi tipici del paesaggio cittadino o campestre: mercati, taverne, abitazioni, casali, rovine di antichi templi pagani. A tali fastose composizioni davano il loro contributo artigiani vari e lavoranti delle stesse corti regie o la nobiltà, come attestano gli splendidi abiti ricamati che indossano i Re Magi o altri personaggi di spicco, spesso tessuti negli opifici reali di S. Leucio. In questo periodo si distinguono anche gli artisti liguri in particolare a Genova, e quelli siciliani che, in genere, si ispirano sia per la tecnica che per il realismo scenico, alla tradizione napoletana con alcune eccezioni come ad esempio l’uso della cera a Palermo e Siracusa o le terracotte dipinte a freddo di Savona e Albisola. Sempre nel ‘700 si diffonde il presepio meccanico o di movimento che ha un illustre predecessore in quello costruito da Hans Schlottheim nel 1588 per Cristiano I di Sassonia. La diffusione a livello popolare si realizza pienamente nel ‘800 quando ogni famiglia in occasione del Natale costruisce un presepe in casa riproducendo la Natività secondo i canoni tradizionali con materiali - statuine in gesso o terracotta, carta pesta e altro - forniti da un fiorente artigianato. In questo secolo si caratterizza l’arte presepiale della Puglia, specialmente a Lecce, per l’uso innovativo della cartapesta, policroma o trattata a fuoco, drappeggiata su uno scheletro di fil di ferro e stoppa. A Roma le famiglie importanti per censo e ricchezza gareggiavano tra loro nel farsi costruire i presepi più imponenti, ambientati nella stessa città o nella campagna romana, che permettevano di visitare ai concittadini e ai turisti. Famosi quello della famiglia Forti posto sulla sommità della Torre degli Anguillara, o della famiglia Buttarelli in via De’ Genovesi riproducente Greccio e il presepe di S. Francesco o quello di Padre Bonelli nel Portico della Chiesa dei Santi XII Apostoli, parzialmente meccanico con la ricostruzione del lago di Tiberiade solcato dalle barche e delle città di Gerusalemme e Betlemme. Dal XVII secolo il presepe iniziò a diffondersi anche nelle case dei nobili sotto forma di “soprammobili” o di vere e proprie cappelle in miniatura anche grazie all’invito del papa durante il Concilio di Trento poiché ammirava la sua capacità di trasmettere la fede in modo semplice e vicino al sentire popolare.
A Bologna venne istituita la Fiera di Santa Lucia quale mercato annuale delle statuine prodotte dagli artigiani locali, che viene ripetuta ogni anno, ancora oggi, dopo oltre due secoli.
Oggi dopo l’affievolirsi della tradizione negli anni ‘60 e ‘70, causata anche dall’introduzione dell’albero di Natale, il presepe è tornato a fiorire grazie all’impegno di religiosi e privati che con associazioni come quelle degli Amici del Presepe, Musei tipo il Brembo di Dalmine di Bergamo, Mostre, tipica quella dei 100 Presepi nelle Sale del Bramante di Roma; dell’Arena di Verona, rappresentazioni dal vivo come quelle della rievocazione del primo presepio di S. Francesco a Greccio e i presepi viventi di Rivisondoli in Abruzzo o Revine nel Veneto e soprattutto la produzione di artigiani presepisti, napoletani e siciliani in special modo, eredi delle scuole presepiali del passato, hanno ricondotto nelle case e nelle piazze d’Italia la Natività e tutti i personaggi della simbologia cristiana del presepe.

Simbologia e origine delle ambientazioni
L’iconografia del presepio ebbe un impulso nel Quattrocento grazie ad alcuni grandi maestri della pittura: il Botticelli nell’Adorazione dei Magi (Firenze, Galleria degli Uffizi) raffigurò personaggi della famiglia Medici. Il presepe moderno indica una ricostruzione tradizionale della natività di Gesù Cristo durante il periodo natalizio: si riproducono quindi tutti i personaggi e i posti della tradizione, dalla grotta alle stelle, dai Re Magi ai pastori, dal bue e l’asinello agli agnelli, e così via. La rappresentazione può essere sia vivente che iconografica. Attualmente, si vanno diffondendo anche i presepi meccanici, con movimento sincronizzato dei personaggi.
Il presepe è una rappresentazione ricca di simboli, alcuni di questi provengono direttamente dal racconto evangelico: sono riconducibili al racconto di Luca la mangiatoia, l’adorazione dei pastori e la presenza di angeli nel cielo. Altri elementi appartengono ad una iconografia propria dell’arte sacra: Maria ha un manto azzurro che simboleggia il cielo, San Giuseppe ha in genere un manto dai toni dimessi a rappresentare l’umiltà.
Molti particolari scenografici nei personaggi e nelle ambientazioni del presepe traggono inoltre ispirazione dai Vangeli apocrifi e da altre tradizioni. Il bue e l’asinello, simboli immancabili di ogni presepe aggiunti da Origene, derivano dal cosiddetto protovangelo di Giacomo oppure da un’antica profezia di Isaia che scrive “Il bue ha riconosciuto il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone”. Sebbene Isaia non si riferisse alla nascita del Cristo, l’immagine dei due animali venne utilizzata comunque come simbolo degli ebrei (rappresentati dal bue) e dei pagani (rappresentati dall’asino).
Anche la stalla o la grotta in cui Maria e Giuseppe avrebbero dato alla luce il Messia non compare nei Vangeli canonici: sebbene Luca citi i pastori e la mangiatoia, nessuno dei quattro evangelisti parla esplicitamente di una grotta o di una stalla. In ogni caso a Betlemme la Basilica della Natività sorge intorno a quella che è indicata dalla tradizione come la grotta ove nacque Cristo e anche quest’informazione si trova nei Vangeli apocrifi. Tuttavia, l’immagine della grotta è un ricorrente simbolo mistico e religioso per molti popoli soprattutto del settore mediorientale: del resto si credeva che anche Mitra, una divinità persiana venerata anche tra i soldati romani, fosse nato da una pietra.
I Magi invece derivano dal Vangelo di Matteo e dal Vangelo armeno dell’infanzia. In particolare, quest’ultimo fornisce informazioni sul numero e il nome di questi sapienti orientali: fa i nomi di tre sacerdoti persiani (Melkon, Gaspar e Balthasar), anche se non manca chi vede in essi un persiano (recante in dono oro, simbolo della regalità), un arabo meridionale (recante l’incenso, simbolo della divinità) e un etiope (recante la mirra, simbolo dell’umanità e della passione).
Così i re magi entrarono nel presepe, sia incarnando le ambientazioni esotiche sia come simbolo delle tre popolazioni del mondo allora conosciuto, ovvero Europa, Asia e Africa. Anche il numero dei Magi fu piuttosto controverso, venne definitivamente stabilito in tre, come i doni da loro offerti, da un decreto papale di Leone I Magno, mentre prima di allora oscillava fra due e dodici, con una duplice interpretazione, quali rappresentanti delle tre età dell’uomo: gioventù, maturità e vecchiaia e delle tre razze in cui si divide l’umanità: la semita, la giapetica e la camita secondo il racconto biblico.
Ancora gli angeli, esempi di creature superiori, Maria e Giuseppe, rappresentati a partire dal XIII secolo in atteggiamento di adorazione proprio per sottolineare la regalità dell’infante, e infine i pastori come l’umanità da redimere: già al momento della sua nascita, come avverrà anche alla sua morte, Gesù si mostra per primo ai peccatori. Gesù disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori». (Marco 2, 17) E infatti, così come avviene per i samaritani, anche i pastori erano una categoria malfamata per il popolo ebreo e proprio a loro il Messia si mostra per primo.
Tuttavia, alcuni aspetti derivano da tradizioni molto più recenti. Il presepe napoletano, per esempio, aggiunge alla scena molti personaggi popolari, osterie, commercianti e case tipiche dei borghi agricoli, tutti elementi palesemente anacronistici. Tra le più recenti rappresentazioni della Natività non è difficile ammirare delle opere di artisti contemporanei ambientate in luoghi particolari come grattacieli ultramoderni o periferie di metropoli, riconoscendo tra i tanti pastori alcuni personaggi famosi e ogni anno ne vengono aggiunti di nuovi: da Clinton a Ciampi, da Totò a Troisi etc. Un presepe genovese, in particolare, ha in sé una singolare autocitazione: raffigura, infatti, un gruppo di popolane intente a vendere materiali per realizzare presepi. Questa è comunque una caratteristica di tutta l’arte sacra, che, almeno fino al XX secolo, ha sempre rappresentato gli episodi della vita di Cristo con costumi ed ambientazioni contemporanee all’epoca di realizzazione dell’opera. Anche questi personaggi sono spesso funzionali alla simbologia. Ad esempio il male è rappresentato nell’osteria e nei suoi avventori, mentre il personaggio di Ciccibacco, che porta il vino in un carretto con le botti, impersona il Diavolo. Nel presepe bolognese, invece, vengono aggiunti alcuni personaggi tipici, la Meraviglia, il Dormiglione e, di recente, la Curiosa.
In Italia i presepi si differenziano da regione a regione piuttosto per i diversi prodotti e materiali utilizzati per ricreare la scena della nascita del bambino Gesù. Il presepe napoletano o partenopeo si caratterizza per la costruzione di pastori in terracotta, il presepe genovese si realizza con pastori in legno, il presepe pugliese utilizza la carta pesta per realizzare il prodotto finito, il presepe siciliano viene realizzato con l’aggiunta di prodotti tipici siciliani, come rami d’arancio e di mandarino e sul quale si utilizzano diversi materiali come corallo, madreperla ed alabastro, tutti prodotti tipici della Sicilia. Un museo del presepe a Palazzolo Acreide accoglie le realizzazioni artistiche dell’avv. Giovanni Leone che ha incastonato la Natività in tre differenti ambientazioni locali. Il presepio Trentino è imparentato con le sculture lignee del Tirolo e trova una tipica ambientazione in alcune produzioni caratteristiche e originali, soprattutto nelle valli laterali dell’Adige come testimoniano tra gli altri i presepi di Tesero, in valle di Fiemme.

La tradizione dei larii
Per comprendere la tradizione e la genesi del moderno presepe, può essere utile ricordare la figura del lari (lares familiares), profondamente radicata nella cultura etrusca e latina.
I lari erano gli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia. Ogni antenato veniva rappresentato con una statuetta, di terracotta o di cera, chiamata sigillum (da signum = segno, effigie, immagine).
Le statuette venivano collocate in apposite nicchie e, in particolari occasioni, onorate con l’accensione di una fiammella, consuetudine odierna per la ricorrenza dei defunti. In prossimità del solstizio d’inverno si svolgeva la festa detta Sigillaria (20 dicembre), durante la quale i parenti si scambiavano in dono i sigilla dei familiari defunti durante l’anno. In attesa della festa, il compito dei bimbi delle famiglie riunite nella casa patriarcale, era di lucidare le statuette e disporle, secondo la loro fantasia, in un piccolo recinto nel quale si rappresentava un ambiente bucolico in miniatura. Nella vigilia della festa, dinnanzi al recinto, la famiglia si riuniva per invocare la protezione degli avi e lasciare ciotole con cibo e vino. Il mattino seguente, al posto delle ciotole, i bambini trovavano giocattoli e dolci, “portati” dai loro trapassati nonni e bisnonni (altra usanza ancora viva nelle regioni italiche del meridione).
Dopo l’assunzione del potere nell’impero (IV secolo), i cristiani tramutarono alcune feste tradizionali in feste cristiane, mantenendone parte dei riti e delle date, ma mutando i nomi e i significati religiosi. Essendo una tradizione molto antica e particolarmente sentita (perché rivolta al ricordo dei familiari defunti), la rappresentazione dei larii sopravvisse nella cultura rurale con parte del significato originario almeno fino al XV secolo e, in alcune regioni italiane, anche oltre.